Cap.1:
Un "boscaiolo" che scopriva i talenti
Molti lo consideravano un uomo burbero, forse troppo, per la Formula
1. Altri lo accusavano di assumere atteggiamenti troppo paternalistici
nei confronti dei suoi giovani piloti. Invece, Ken Tyrrell, meglio
noto come "il boscaiolo", era un costruttore con le idee
molto chiare e, soprattutto, con un gran fiuto per scoprire i talenti.
Ma non erano solo queste le qualità di questo inglese sanguigno,
nato a West Horsley, nel Surrey, il 3 maggio 1924.
Durante le ultime fasi della guerra, Ken Tyrrell prestò servizio
nella RAF, a bordo di un bombardiere. Una volta concluse le ostilità,
intraprese l'attività di commerciante di legnami, abbattendo e vendendo
alberi alle segherie. Era convinto, Tyrrell, che il legname sarebbe
servito ad un'Inghilterra da ricostruire dopo i drammi della guerra,
e non sbagliava.
Oltre al cricket, una delle sue grandissime passioni era il calcio
e fu proprio l'amore per questo sport, ironia della sorte, a spingerlo
verso l'automobilismo. La squadra di calcio del suo paese, infatti,
organizzò un viaggio per assistere ad un Gran Premio di Formula
1, a Silverstone. Era il 1947. Per Tyrrell, l'assistere a quell'evento
rappresentò una sorta di folgorazione.
Dopo aver seguito una gara di Formula 3, riservata a vetture da
500cc, decise di tentare la fortuna in quel mondo.
Nel 1952 acquistò una quota di una Cooper-Norton di Formula 3, con
la quale, nello stesso anno, disputò il suo primo Gran Premio, a
Snetterton. Tyrrell dimostrò, nei sei anni successivi, di possedere
talento e - soprattutto - capacità di crescita interessanti, tanto
da diventare un vero e proprio punto di riferimento della categoria.
Nel 1953 ottenne molti piazzamenti, mentre nel 1954 si laureò campione
d'Irlanda per le vetture mezzo litro. Il suo exploit, però, Tyrrell
lo ottenne in occasione di un Gran Premio disputato a Karlskoga,
in Svezia, in quella che rappresentava la sua prima apparizione
in una gara internazionale. Decise dunque di tentare, nel 1958,
il salto di categoria ed acquistò una Cooper-Climax di Formula 2.
Capì ben presto, però, che non aveva molte possibilità di diventare
un grande campione e dunque decise di cambiare approccio con il
mondo dei gran premi.
Nel corso dello stesso anno, entrò in società con i suoi compagni
piloti, Alan Brown e Cecil Libowitz e fondò una scuderia che potè
contare su un paio di Cooper. La scelta si rivelò azzeccata, tanto
che nel 1959 Tyrrell, sempre assistito dai suoi soci, gestì il team
ufficiale della Cooper in Formula 2, con Bruce McLaren e Masten
Gregory al volante.
Cap.2: Nasce il Tyrrell Racing Team
Nel 1960, Ken Tyrrell fondò il Tyrrell Racing Team che schierò le
Cooper-Austin in Formula Junior. Fu a bordo di una di quelle vetture
che John Surtees colse il suo primo successo, a Goodwood, nel 1960.
Le Cooper-BMC affidate ad Henry Taylor e Keith Ballisat, intanto,
si misero in luce con delle buone prestazioni. Particolarmente significativo,
invece, fu il successo che Taylor riuscì a cogliere in una gara
di contorno del Gran Premio di Montecarlo: grazie a questa affermazione,
il team conquistò la sua prima vittoria internazionale.
Forse apprezzando gli sforzi e la capacità di Tyrrell, la Cooper
decise di continuare la collaborazione con la squadra anche nel
1962, anno in cui Tony Maggs e John Love furono capaci di conquistare
13 vittorie, 10 secondi e 7 terzi posti con la Cooper-BMC gestita
dal "boscaiolo".
Quando, nell'estate 1963, John Cooper rimase gravemente ferito in
un incidente occorsogli mentre collaudava una Mini sperimentale
bimotore, Tyrrell venne chiamato a sostituirlo nel ruolo di team
manager della squadra ufficiale Cooper di Formula 1. Nonostante
questo impegno non indifferente, Tyrrell continuò a gestire le Cooper-BMC
in Formula Junior guidate da Tim Mayer e Peter Proctor.
Cap.3: L'incontro con Jackie Stewart
Nel 1964 venne varato il nuovo regolamento in Formula 3, il quale
innalzava la cilindrata dei propulsori da 500cc ad un litro. Ken
Tyrrell scelse per il suo team la Cooper-BMC.
Robin McKay, al tempo direttore dell'autodromo di Goodwood, segnalò
al "boscaiolo" le doti di un giovane ragazzo scozzese, Jackie Stewart,
che - a suo parere - era dotato di enorme talento. Stewart, allora
ventiquattrenne, fu invitato da Tyrrell ad effettuare il collaudo
della nuova vettura di Formula 3, mettendolo direttamente a confronto
con il pilota ufficiale del team di Formula 1, Bruce McLaren. Da
questa sfida uscì vincente Stewart e Tyrrell decise senza troppe
esitazioni di assicurargli un volante per la stagione successiva,
a bordo proprio della Formula 3. Con la Cooper-BMC T72, Stewart
dominò il campionato del 1964 e staccò il biglietto per vivere una
stagione da protagonista in Formula 1, con il team BRM.
Tyrrell, intanto, continuò a svolgere - fino al 1966 - le mansioni
di team manager alla Cooper, pur occupandosi contemporaneamente
anche del suo team di Formula 3. Quando però la Cooper fu
ceduta al Chipstead Motor Group, Tyrrell decise di cambiare partner,
scegliendo la Matra.
Grazie ad un accordo con questa azienda aerospaziale francese che
stava progredendo in maniera interessante la competitività dei suoi
telai in Formula 2 ed in Formula 3, nel 1967 Tyrrell fece esordire
un giovane pilota belga, dal carattere un po' ribelle: Jackie Ickx.
A bordo di una Matra MS7 spinta dal motore Cosworth FVA, gestita
dal team di Tyrrell, Ickx si laureò campione europeo di Formula
2 nello stesso anno.
Ma Tyrrell non aveva dimenticato di certo il talento di Stewart.
Così, per il campionato del 1968, il "boscaiolo" riuscì ad assicurarsi
le prestazioni dello scozzese in cambio dell'impegno, da parte della
Matra, di fornire il telaio ed il supporto tecnico. Ma alla Matra
questo non bastava: voleva anche i motori Cosworth DFV.
Quando Ken Tyrrell, nell'estate 1967, si mise a discutere con il
capo della Cosworth, Keith Duckworth, della possibilità di disporre
di una fornitura dei V8 Cosworth DFV di 3 litri, l'accordo sembrava
difficile e lontano dall'essere siglato.
Il motore Cosworth era, infatti, di gran lunga il propulsore più
potente in circolazione e veniva fornito in esclusiva al team Lotus
del geniale Colin Chapman. Tuttavia, appariva chiaro che se non
si fosse offerta anche alle altre squadre la possibilità di equipaggiarsi
del motore Ford, si sarebbe assistito ad un dominio assoluto firmato
Lotus. Fu così che, forse un po' a sorpresa, Duckworth e Chapman
acconsentirono e la Formula 1 poté assistere all'esplosione del
team Tyrrell.
Il "boscaiolo", infatti, in poco tempo fu in grado di far montare
sulla Matra i nuovi propulsori inglesi e, grazie al supporto di
Elf e Dunlop, poté contare su una prima guida che rispondeva al
nome di Jackie Stewart. Tyrrell aveva messo al posto giusto tutti
i tasselli del suo puzzle.
Correndo sotto le insegne della Matra International, Stewart - a
bordo della Matra MS10 - colse tre successi (in Olanda, in Germania
e nel Gran Premio degli Stati Uniti) che gli permisero di sfiorare
il titolo mondiale, conquistato invece da Graham Hill, su Lotus.
Ma l'appuntamento con il titolo fu, in realtà, solamente rimandato
al 1969, quando Stewart si laureò campione del mondo grazie ai successi
ai Gran Premi del Sud Africa, di Spagna, di Francia, d'Inghilterra,
di Olanda e di Italia. Sembrava il primo di una lunga serie di successi
per la Matra, ma il binomio con Tyrrell si ruppe quando i francesi
imposero, come condizione vincolante per l'utilizzo dei suoi telai,
l'utilizzo del motore Matra V12. Ma Tyrrell e Stewart non accettarono
le proposte della Matra, credendo ciecamente nell'efficienza dei
motori Ford V8.
Cap.4: Costruire telai e vetture geniali
La stagione 1970 fu al di sotto delle attese per il team Tyrrell.
Le tre March 701 acquistate dal "boscaiolo" non si rivelarono all'altezza
della situazione e così Tyrrell decise di diventare un costruttore
a tutti gli effetti. Prese contatti con Derek Gardner, ex ingegnere
della Ferguson che aveva studiato un sistema a quattro ruote motrici
per la Matra MS84 del 1969, e gli affidò in gran segreto il compito
di progettare la prima Tyrrell di Formula 1. Gardner accettò ed
iniziò una vera e propria corsa contro il tempo per progettare,
costruire e presentare la Tyrrell 001. Erano i primi di agosto del
1970.
Sebbene la vettura fosse molto competitiva, permettendo a Stewart
di ben figurare in Canada, Stati Uniti e Messico, l'affidabilità
si dimostrò ancora molto precaria. Ma i problemi di gioventù furono
ben presto superati, anche grazie all'apporto di un giovane pilota
francese, Francois Cevert, ingaggiato a metà stagione per affiancare
lo scozzese.
Così, nel 1971, Stewart si laureò per la seconda volta campione
del mondo, grazie ai successi nei Gran Premi di Spagna, Francia,
Inghilterra, Germania e Canada. L'annata strepitosa coincise anche
con il primo titolo mondiale, tra i costruttori, della Tyrrell.
Nel 1972, la Tyrrell fece debuttare la vettura a passo corto 005/006
solo a metà stagione, in occasione del Gran Premio di Francia. Stewart,
nonostante tutto, concluse secondo nel mondiale, alle spalle del
brasiliano Emerson Fittipaldi, al volante di una Lotus.
Il 1973 fu, invece, un anno irripetibile per Stewart e la Tyrrell.
Lo scozzese, grazie alle vittorie in Sud Africa, Belgio, Olanda
e Germania, conquistò il titolo mondiale. Grazie a queste affermazioni,
Stewart riuscì a superare, con 27 successi complessivi, il record
di 25 vittorie che apparteneva al compianto Jim Clark. Conscio di
non poter ottenere molto di più dalla sua incredibile carriera di
pilota, Stewart decise di ritirarsi dalle corse. Tyrrell, un po'
spiazzato, decise di premiare il buon lavoro svolto da Cevert facendolo
diventare prima guida. Ma sfortunatamente, il francese si rese protagonista
di un incidente mortale in occasione delle qualifiche del Gran Premio
degli Stati Uniti del 1973.
A Tyrrell non rimase che voltare decisamente pagina, ingaggiando
il sudafricano Jody Scheckter ed il francese Patrick Depailler.
Con il primo, la Tyrrell conquistò il successo nei Gran Premi di
Svezia e di Inghilterra, oltre che il terzo posto nella classifica
riservata ai costruttori.
Il declino della squadra, forse smarrita dalla partenza di un pilota
leader come Stewart, era sempre più evidente. Tuttavia, con grande
umiltà Tyrrell continuò a dare fiducia ai suoi uomini. Nel 1975
Scheckter conquistò l'unico successo stagionale in Sud Africa.
Con la Tyrrell P34, il "boscaiolo" intraprese una strada nuova,
quella delle rivoluzioni. Progettata da Gardner, la vettura a sei
ruote (di cui potete leggere la monografia all'interno di Formula
Zero) si poneva l'ambizioso obiettivo di ridurre al minimo
l'area frontale dell'auto, per renderla più aerodinamica. La P34
- che rappresenta, ad oggi, l'unica monoposto a sei ruote ad aver
partecipato ad un campionato del mondo di Formula 1 - colse un'incredibile
doppietta nel Gran Premio di Svezia, ad Anderstorp, con Scheckter
primo davanti a Depailler.
Abbandonata la soluzione delle sei ruote (la monoposto, infatti
era troppo penalizzata dal fattore gomme) e cambiato progettista
(a Gardner subentrò Maurice Philippe), la Tyrrell 008, spinta dal
motore Cosworth, portò al trionfo Depailler, nell'edizione del Gran
Premio di Monaco del 1978.
La squadra, in ogni caso, stava attraversando un periodo particolarmente
difficile, anche dal punto di vista finanziario, soprattutto dopo
che la Elf, nel 1979, decise di abbandonare il team inglese per
concentrare i suoi sforzi (e denari) verso i due team francesi:
Ligier e Renault.
Cap.5: La fine di un sogno, la fine di un'era
Fu un pilota italiano, Michele Alboreto, a bordo della Tyrrell 011,
a riportare nel 1982 il sorriso sul volto del "boscaiolo", grazie
al fortunoso successo a Las Vegas. Questa vittoria fu bissata da
un'altra ottenuta dallo stesso Alboreto, in condizioni altrettanto
fortunate, a Detroit, nel 1983. In Formula 1 però stavano prendendo
piede i motori turbo e Tyrrell incontrò grossi problemi per trovare
una fornitura che garantisse un po' di competitività alle sue vetture.
L'annus horribis però fu il 1984, quando la scuderia subì l'onta
della squalifica da parte della Federazione, con l'accusa di aver
impiegato additivi al piombo proibiti, nel sistema di iniezione
dell'acqua dei motori Cosworth. In realtà, le Tyrrell venivano zavorrate
con dei pezzi di piombo che venivano introdotti in un serbatoio
grazie alla pressione dell'acqua. I commissari, tratti in inganno
da questo stratagemma, fecero rapporto e la Federazione decise,
appunto, la squalifica. Questa, in ogni caso, apparve una sanzione
troppo esagerata, in un mondo dove aggirare il regolamento era divenuta
una prassi.
La Tyrrell era diventata una squadra che sembrava amatoriale, nell'approccio,
ma era estremamente professionale nel campo di gara. Rimase un po'
nella storia del team il Gran Premio di Monaco del 1969, quando
Tyrrell festeggiò il suo sessantacinquesimo compleanno in
maniera particolare: a causa di alcune defezioni infatti, il "boscaiolo"
condusse personalmente il camion che portava le vetture sul tracciato...
Nonostante tutto, il team sopravvisse grazie alla politica pragmatica
di Tyrrell, capace di traghettare la sua squadra oltre tutte le
difficoltà, proteggendo i suoi uomini dagli attacchi. Un uomo, Tyrrell,
animato da una passione per questo sport ed il suo lavoro davvero
sterminata. Un uomo, però, che ha dovuto piegarsi alle sempre maggiori
difficoltà che incontrava la sua scuderia a sopravvivere nella Formula
1 moderna.
La squadra trasse nuova linfa dall'arrivo, nel 1987, di Harvey Postlethwaite.
Ma il geniale progettista inglese, dopo il successo della 019, lasciò
la scuderia, salvo tornarvi nel 1993 quando Tyrrell gli offrì
il 10% del pacchetto azionario. Così, Postlethwaite divenne
- per certi aspetti - il vero capo del team.
Nel 1997, non essendo riuscito a trovare gli sponsor necessari per
garantire la partecipazione della squadra al campionato, Tyrrell
fu costretto ad alzare bandiera bianca e a cedere - per 30 milioni
di dollari - le strutture della sua squadra alla British American
Racing (meglio nota come BAR) che subentrò alla Tyrrell, decretandone
la scomparsa. Il Gran Premio del Giappone del 1998 fu l'ultimo ad
annoverare la Tyrrell tra i partecipanti.
Con quella gara, uscì dalla Formula 1 una squadra che aveva
realizzato alcuni tra i progetti più interessanti, ricchi
di soluzioni tecniche ed aerodinamiche destinate a fare scuola.
Il muso alto, studiato per migliorare i flussi nel sottoscocca e
nei diffusori posteriori, oppure i candelabri (altrimenti detti
"torrette") sono solo alcune delle trovate che i suoi progettisti
(tra i quali il compianto Harvey Postlethwaite e Jean Claude Migeot)
hanno proposto e che sono state ben presto copiate da tutte le altre
squadre. Le quali, oltretutto, si avvalsero anche dei piloti che
lo stesso Tyrrell scopriva e faceva crescere, ultimo fra tutti,
Jean Alesi.
Dopo la chiusura del team, Ken si ritirò a vita privata, lontano
dai clamori di un mondo che oramai non gli apparteneva più. Con
l'umiltà che gli è sempre stata riconosciuta, si mise a lottare
contro un terribile male, riuscendo a vincere anche questa battaglia.
Verso la fine del 1999 fu nominato presidente del British Racing
Drivers' Club. Non poté esercitare la carica per molto, purtroppo,
poiché dopo pochi mesi passò a miglior vita.
Ancora oggi, l'ex quartier generale del team si trova nel vecchio
campo di taglialegna a Long Reach, Ockham, nel Surrey: e ci piace
pensare che il "boscaiolo" sia ancora lì. |