Cap.1:
Una passione precoce
Come accadde a Mario Andretti sulla stessa pista, diciassette anni
più tardi, Phil Hill, primo americano a diventare campione del mondo
di Formula 1, perse il suo compagno di squadra in occasione del
Gran Premio che lo incoronò, appunto, campione. Sia Hill che Andretti
erano americani ed entrambi persero i rispettivi compagni di squadra
(von Trips e Peterson) sul circuito di Monza.
Wolfgang von Trips morì nel Gran Premio di Monza del 1961. Quando
Hill capì che era diventato campione del mondo, apprese la tragica
notizia della morte del collega. Un destino tragico che aveva annullato
l’eccezionalità di un momento in cui un uomo aveva raggiunto quell’obiettivo
per il quale aveva sacrificato tutta la sua vita, proprio come sarebbe
poi successo a Mario Andretti.
Philip Toth Hill Jr nacque a Miami, il 20 aprile 1927 e la sua famiglia
ben presto si trasferì in California dove il padre di Hill aveva
trovato un impiego come direttore di un ufficio postale a Santa
Monica. Il piccolo Philip dimostrò ben presto una smisurata passione
per le vetture tanto che già a sette anni conosceva tutte le specifiche
tecniche delle vetture circolanti. A soli dodici anni, per 10 dollari,
acquistò un Ford Model T che andava a guidare in una pista sterrata
nel Santa Monica Canyon acquisendo una capacità di controllo del
mezzo che diverrà poi proverbiale.
Quando ebbe diciannove anni acquistò e modificò un MG TC e trovò
impiego presso la International Motors, il principale importatore
di vetture straniere della costa ovest degli Stati Uniti. Più tardi
si trasferì in Inghilterra dove lavorò per la Jaguar, la MG e la
famosa – all’epoca – SU carburatori. Durante questo periodo, si
concesse un piccolo regalo, una vettura che tutti sognavano: la
Jaguar XK120 che adattò all’uso agonistico e che impiegò a Peeble
Beach.
In occasione di un’intervista, Hill ammise che “Cercavo di precedere
tutti e coloro che gareggiavano contro di me sapevano che non mi
sarei fatto problemi a passar loro sopra pur di vincere. Così, per
evitare questo, si facevano da parte. La totale mancanza di razionalità
che avevo allora, unita al modo in cui guidavo, mi fa spavento ancora
oggi!”.
Cap.2: Un rimpianto da milioni di dollari
Hill vendette presto la sua Jaguar ed acquistò una Alfa Romeo Mille
Miglia 2.9 turbo del 1937 con la quaale corse nel 1951. Al termine
di quella stagione, vendette la vettura per pochi dollari. Oggi,
quella vettura vale diversi milioni di dollari… Dopo l’Alfa Romeo,
Hill acquistò ancora una vettura italiana, questa volta una Ferrari
da 2.600 cc, presso il distributore americano, Luigi Chinetti. Proprio
l’incontro con Chinetti si sarebbe rivelato in seguito decisivo.
Dopo una stagione di gare in America, Hill si trasferì in Europa,
assieme alla sua vettura. Appena sbarcò, ricevette un telegramma
che lo invitava a visitare Enzo Ferrari una volta arrivato in Italia.
La reputazione di Hill aveva preceduto lo stesso pilota, tanto che
proprio il fondatore della Casa di Maranello lo volle alla guida
delle sue vetture in occasione della 24 Ore di Le Mans del 1955.
L’edizione di quell’anno della classicissima francese fu funestata
dal terribile incidente causato dal veterano di questa gara, il
francese Pierre Levegh, alla guida della Mercedes che provocò la
morte di oltre 80 spettatori. Hill assistette all’incidente dai
box, sebbene non ebbe modo di rendersi conto della gravità dell’accaduto. Ciò bastò, in ogni caso,
per farlo seriamente riflettere sull'eventualità di ritirarsi dal
mondo delle corse.
L’americano avrebbe poi vinto la gara di durata di Le Mans nel 1958,
prima di ripetersi nel 1961 e 1962. Tuttavia, Hill aveva già deciso
di sacrificare la sua carriera alla guida delle sport per dedicarsi
alla Formula 1, categoria per la quale ambiva di vincere il titolo
di Campione del Mondo, preferibilmente a bordo di una Ferrari.
Cap.3: Il sogno Ferrari, il debutto Maserati
Curioso constatare però che il suo debutto avvenne sulla Maserati
250F, la rivale storica della Casa del Cavallino Rampante. Sul circuito
di Reims, in occasione del Gran Premio di Francia del 1958, l’americano
affiancò Jo Bonnier alla guida della monoposto che appena un anno
prima aveva conquistato il titolo mondiale di Formula 1 con Juan
Manuel Fangio. Concluse la corsa al settimo posto, ad un giro dal
vincitore, lasciandogli l’amaro in bocca ma aprendogli – inconsapevolmente
– le porte per Maranello. Aveva, in pratica, ottenuto quello che
aveva sempre sognato.
Il debutto su una Ferrari avvenne in occasione del Gran Premio d’Italia
dove conquistò un brillante terzo posto alle spalle della Vanwall
di Tony Brooks e della Ferrari di Mike Hawthorn che egli non superò
(come gli ordinarono dai box) al fine di aiutare il compagno di
squadra a conquistare il titolo.
Nel 1959 l’americano divenne pilota ufficiale Ferrari assieme a
Brooks ed al connazionale Dan Gurney. L’annata non fu positiva in
quanto le vetture dotate di motore anteriore si rivelarono scarsamente
competitive e la Formula 1 venne dominata dalle Cooper dotate di
motore posteriore su tutte le piste ad eccezione di quelle più veloci.
Nel 1960 furono ancora le Cooper, assieme alle Lotus, a dimostrare
che le monoposto con motore anteriore erano oramai superate. A Monza
Hill conquistò l’ultima vittoria per una vettura di questo tipo
ma solamente perché i team inglesi boicottarono quell’appuntamento
per quella che veniva giudicata una pista troppo pericolosa e favorevole
alle vetture italiane. L’edizione di quell’anno si svolse sul circuito
completo, comprendente anche l’anello ad alta velocità.
Brooks ricorda il biennio 59-60 come gli anni d’oro e ripensa al
nervosismo di Hill prima di una gara: “Era solito lucidare senza
pietà gli occhiali di protezione che utilizzava in gara. Se dicessi
che lo faceva per almeno dieci volte, esagererei di pochissimo.
A volte pensavo che avrebbe consumato le lenti… Glielo dicevo spesso,
per cercare di stemperare un po’ la sua tensione”.
Cap.4: Il titolo a bordo dello "Squalo"
1961, il primo anno della Formula 1 con motori da 1,5 litri e solamente
la Ferrari si dimostrò preparata con propulsori competitivi. Il
cambio di regolamento equiparò, in poche parole, i regolamenti di
Formula 1 e Formula 2 e proprio in questa categoria la Ferrari aveva
dettato legge.
La nuova monoposto, la 156, nacque su progetto dell’ingegnere Chiti
che utilizzò come base il motore del 1957 maggiorando l’alesaggio
e diminuendo la corsa. Venne rivista in particolare nell’aerodinamica,
studiata in una piccola galleria del vento (lunga un metro) e nel
motore (con la V portata da 65° a 120°). La vettura venne presentata
molto in anticipo sulla concorrenza, incuranti del fatto che gli
inglesi avrebbero potuto copiarne i segreti.
Ferrari, capendo che la regolarità non era il punto forte degli
avversari, in alcune occasioni non esitò a schierare anche cinque
vetture affidandole ad Hill, von Trips, Ginther, Rodriguez e Baghetti.
Le Ferrari avrebbero potuto vincere tutte le gare di quella stagione,
ma l’enorme talento di Stirling Moss, alla guida di una poco potente
Lotus Climax del team di Rob Walker, lo impedì con due successi
a Monaco ed al Nurburgring. Hill è solito ricordare: “Molte volte
avrei voluto barattare la potenza della mia Ferrari per la maneggevolezza
della monoposto di Moss. La Ferrari era assolutamente terribile
in circuiti come Monaco”. Hill vinse a Spa e Monza, conquistando
il secondo posto ad Aintree e Zandvoort, salendo sul gradino più
basso del podio a Monaco ed al Nurburgring.
Con la morte di von Trips, salendo sul podio Hill si assicurò il
titolo di Campione del Mondo. Quella fu l’ultima gara della stagione
in cui Ferrari iscrisse le sue monoposto ufficiali ed Hill non poté
festeggiare il suo successo davanti al suo pubblico per il successivo
Gran Premio degli Stati Uniti, in programma a Watkins Glen.
Cap.5: Un ritiro in punta di piedi
Qui, sostanzialmente, si chiudeva anche la carriera di Hill poiché
nelle stagioni seguenti le altre scuderie lasciarono solo le briciole
alle vetture del Cavallino Rampante. Nel 1963, assieme ad altri
“dissidenti” passò alla ATS: l’esperienza fu quantomeno disastrosa,
così Hill maturò l’idea di passare alla Cooper nel 1965, dove però
non fu più fortunato. La sua carriera in Formula 1 era giunta al
capolinea. A dimostrazione del cristallino talento di cui era dotato
impressionò alla guida della Ford GT40 7.0 a Le Mans prima di accordarsi
con il team di Jim Hall guidando le Chaparral nel Campionato Can-Am
e nella serie europea. Nel 1966 vinse la 1000km del Nurburgring
e nel 1967 la BOAC 500 alla guida di quella che ancora oggi considera
la miglior vettura da lui guidata in carriera.
A Brands Hatch disputò la sua ultima gara: “Avevo capito che
era giunto il momento giusto per smettere di correre. Ero estremamente
soddisfatto della mia vittoria a Brands Hatch, specialmente dopo
tutti i problemi avuti durante l’anno. In definitiva, chiudere la
carriera con un successo mi sembrava un bel modo di uscire di scena”. |