Monografia sul Gran Premio del Nürburgring 1957, autore Luca "Mulder" Giraldi
Nürburgring 1957
Cap.1: Il teatro di una gara da leggenda

Fino a quando il Nürburgring ospitò, nel 1976, la sua ultima gara del campionato del mondo di Formula 1, uno dei principali obiettivi di qualsiasi pilota era quello di vincere quel gran premio. L’affermazione su questa pista, la più tecnica e difficile dell’intero panorama automobilistico internazionale, accresceva notevolmente il prestigio del corridore.

Non c’era circuito, infatti, che mettesse a dura prova piloti e vetture come il ‘Ring. La concentrazione doveva essere totale nell’arco di tutti i 22 km lungo i quali si sviluppava il disegno del tracciato: un interminabile insieme di curve e controcurve, discese e salite, salti e rettilinei. Solo i migliori, i più temerari, riuscivano ad imporsi.

Ci fu chi disse: “Dio ama le corse. Altrimenti perché avrebbe creato il Nürburgring?”. In realtà, la pista fu costruita dalla repubblica di Weimar nel 1922 e rimase pressoché immutata fino al 1966, quando fu introdotta una chicane per rallentare le vetture prima dei box, spezzando così la parte conclusiva del lunghissimo rettilineo del Döttinger-Höhe.

In questo scenario straordinario, dominato dal castello di Adenau, il 4 agosto 1957 il ‘Ring accolse oltre 200.000 spettatori accorsi un po’ da tutta Europa. Lo spettacolo a cui ebbero la fortuna di assistere, fu qualcosa di unico nella storia delle corse: il protagonista assoluto fu Juan Manuel Fangio, a bordo della Maserati 250F alleggerita.

Nel ricordo di Giulio Borsari, uno dei meccanici più famosi della Maserati, “quella del Nürburgring è riconosciuta come la più grande vittoria di Fangio nella sua carriera: guidò in quell’occasione in modo impeccabile e si assicurò il suo quinto titolo mondiale”.

Cap. 2: I protagonisti in campo

Fangio, nonostante i suoi 46 anni di età, stava attraversando un periodo di forma straordinario. Il campione argentino aveva vinto a Buenos Aires, a Montecarlo e a Rouen, mentre si era ritirato a Silverstone (vinsero Moss e Brooks su Vanwall) per la rottura del motore al 49° passaggio. In pratica, aveva vinto tre gare sulle quattro disputate.

La sessione di qualificazione aveva visto, ancora una volta, primeggiare Fangio che, con la sua 250F, aveva fermato i cronometri su 9’25”6, rifilando 2”8 a Mike Hawthorn (su Ferrari 801 F1), 4”9 a Behra (anch’egli sulla 250F), 9”1 a Peter Collins, 10”5 a Tony Brooks (su Vanwall), 13”6 su Harry Schell (su 250F) e 15”6 su Moss (a bordo di una Vanwall).

I rivali, tanto per cambiare, non mancavano ed erano più agguerriti che mai. E questa volta non era solo la determinazione a battere Fangio ad animarli, ma anche la volontà di vincere al ‘Ring.

Le 801 F1 messe in campo dalla Ferrari erano spinte da un 8 cilindri a V di 90° che vantava una potenza di 275 CV a 8.400 giri/min, mentre le 250F potevano contare sul 6 cilindri in linea da 270 CV a 8.000 giri/min. Le Vanwall, invece, erano al loro debutto sul circuito dell’Eifel e per questo motivo si presentarono a Nürburg il giorno prima dell’inizio delle prove. Tuttavia, la rigidità delle sospensioni non rendeva certo agevole la guida della vettura.

Infatti era preferibile, sui terribili salti della pista, avere degli ammortizzatori abbastanza morbidi in grado di assorbirli. Per rendere l’idea di ciò che stiamo dicendo, potrebbe essere interessante riportare una battuta di Jackie Stewart: “Il Nürburgring era una pista dove la vettura saltava in continuazione, volando addirittura per una certa distanza almeno 13 volte al giro. Si affrontava la pista con una vettura dove erano stati aggiunti dei gommini (paracolpi) nelle sospensioni per evitare che si consumasse tutto il fondo toccando dopo l’atterraggio dai salti".

Cap. 3: La fuga ed i problemi


Un po’ come nella Formula 1 moderna, anche in quegli anni la variabile gomme era molto importante: la Maserati di Fangio poteva contare sulle Pirelli, mentre la Ferrari sulle Engelbert. Le coperture italiane offrivano un grip decisamente superiore rispetto alle gomme tedesche, ma si consumavano più velocemente. Questa caratteristica imponeva a Fangio una gara basata su una tattica che prevedeva una sosta ai box e fu per questo motivo che decise di partire riempendo solo metà serbatoio della sua 250F. Considerando che la sosta costava una perdita di circa 23 secondi, l’alfiere della Maserati avrebbe dovuto accumulare più margine possibile sui rivali. L’unico modo per assicurarselo era quello di girare su ritmi praticamente da qualifica: e fu quello che Fangio fece.

Dopo che nei primi due giri si limitò a controllare le due Ferrari che si scambiavano continuamente la testa della corsa, il “Maestro” decise di sferrare il suo attacco: "Mi sono messo in coda alle Ferrari di Hawthorn e Collins per i primi due giri. Stavano giocando, scambiandosi la testa della corsa, una cosa che trovò inutile". Da quel momento, Fangio e la sua 250F divennero i protagonisti assoluti di sequenze di giri record che permisero all’argentino di passare prima Collins, poi Hawthorn, quindi di accumulare un vantaggio che, all’ottavo giro, era già di 28 secondi. Faceva davvero impressione, Fangio. Hawthorn ricorda che “se non mi fossi spostato, sono sicuro che il vecchio mi sarebbe passato proprio sopra”.

Al dodicesimo giro, Fangio rientrò per la prevista sosta ma sfortunatamente i meccanici persero un gallettone di fissaggio di una ruota posteriore proprio sotto la vettura. Fangio, a dir poco deluso, vide non solo annullare il suo vantaggio, ma addirittura crescere il suo ritardo dalla testa della corsa in maniera drammatica. Quando rientrò in pista, il “Maestro” si trovò staccato di 45 secondi dalla prima Ferrari. Ricorda Fangio: “Ci rimasi molto male. Ero in procinto di vincere la gara e di conquistare il mio quinto titolo mondiale, ma mancavano solo 10 giri e sentii che c'erano poche speranze di vincere se non fossi riuscito a fare qualcosa di veramente speciale”.

E l’impresa in cui stava per cimentarsi era davvero ai limiti dell’umano. Anche perché dopo un giro in cui Fangio fece riscaldare gli pneumatici, il suo ritardo crebbe ulteriormente arrivando a 52 secondi. Con soli dieci giri da percorrere prima che il direttore di gara sventolasse la bandiera a scacchi, Fangio avrebbe dovuto recuperare più di cinque secondi al giro su Hawthorn. E l’inglese – famoso perché correva con la cravatta a farfalla – non era un avversario semplice da battere. I tempi fatti segnare in prova, infatti, lo testimoniavano, visto che furono solo tre i secondi che separarono i due. Era chiaro che se Fangio avesse aumentato i ritmi, Hawthorn non si sarebbe tirato indietro e avrebbe potuto controllare il tentativo di rimonta del maseratista.

Cap. 4: L'incredibile rimonta

Nel tredicesimo, quattordicesimo e quindicesimo giro, Fangio – pur aumentando il ritmo – non recuperò che sei secondi.
Quaranta secondi da colmare e sette giri da compiere. Un’impresa disperata.
Ma al Nürburgring le magie sono sempre possibili ed i 22 km di asfalto offrirono la possibilità al “Campeon” di sfoderare tutta la sua immensa, inavvicinabile classe e alla 250F di evidenziare tutte le sue doti velocistiche, di stabilità e di agilità.
Chi era presente lungo il tracciato ricorda molto nitidamente l’espressione che si formò sul viso di Fangio: un largo sorriso, quasi satanico, attraversava le sue labbra.
A dire il vero, non era raro che il campione argentino sorridesse mentre guidava, ma in questa occasione, forse, Fangio stava realizzando la portata dell’impresa che stava compiendo.
Al sedicesimo giro il ritardo da Hawthorn era sceso a 33 secondi. Il distacco scendeva in maniera costante, così come i suoi tempi, nettamente più veloci di quelli che aveva siglato in qualifica.

Ai box della Ferrari, dove avevano una visione più chiara di quanto stava succedendo, fecero dei gesti sempre più eloquenti e frenetici sia a Collins che ad Hawthorn, chiedendo loro di aumentare sensibilmente il ritmo. Ma non c’era nulla che potessero fare. Come scrisse il giornalista Denis Jenkinson, di Motor Sport: “Quando 'il vecchio' stabilisce il suo ritmo da record, non c'è nessuno che lo può fermare, soprattutto al 'Ring”.

Tutte le 200.000 persone rimasero con il fiato sospeso ammirando la grande rimonta dell’argentino e si inventarono, quasi, dei cronometristi per tenere traccia dei tempi. Fangio iniziava ad intravvedere le due sagome rosse delle 801 F1 e questo innescò un’ulteriore molla nel campione del mondo.

Su una curva pericolosissima, vietata al pubblico, un radiocronista ed un cronometrista attendevano il passaggio dei concorrenti. Lo attendevano consapevoli del fatto che i piloti, prima di affrontarla, frenavano sensibilmente. Quando Fangio impostò la traiettoria di percorrenza, i due si guardarono stupiti visto che l’argentino non accennava ad alzare il piede. Entrò in quella curva a 230 km/h, controllando il sovrasterzo della sua 250F, tagliando il bordo della pista ed avvicinandosi ancora di più ai due ferraristi. Il sorriso, sul volto di Fangio, divenne ancora più largo…

Cap. 5: Il trionfo ed il titolo mondiale

Alla fine del ventesimo giro, nel corso del quale il campione argentino siglò un incredibile tempo di 9’17”4 alla media di 147.3 km/h (un tempo che era di oltre 8 secondi più basso rispetto alla pole position), la 250F numero 1 era a due soli secondi da Collins. Il ricongiungimento era dunque avvenuto. Al penultimo giro le tre vetture passano sul traguardo appaiate, tra il delirio del pubblico. Hawthorn allunga leggermente, ma non di molto. Fangio e Collins si ritrovano appaiati al Flugplatz ma l’inglese non si difende dall’attacco dell’argentino, che controllò al limite la sua 250F. Collins capì che non avrebbe avuto modo di contrastarlo, non in quel giorno. Lo lasciò sfilare e Fangio si mise alla caccia di Hawthorn. Lo raggiunse molto presto e, con un po’ di sorpresa, lo superò senza troppi problemi. Ricorda Fangio: “Devo averlo sorpreso, perché di colpo si spostò di lato e lo passai”.

Con disarmante facilità Fangio si rese protagonista di un recupero che sembrava impossibile e nulla gli avrebbe portato via di mano questa vittoria. Dopo aver raggiunto la prima posizione, l’eroe sembrava aver placato la sua sete di successo e si mise a controllare gli avversari, tanto che tagliò il traguardo con 3”6 di vantaggio su Hawthorn, 35”6 su Collins, 3’37”6 su Musso, 4’37”5 su Moss e 4’38”5 su Behra.

Sul podio, ricorda Fangio, “Hawthorn e Collins erano più che dignitosi nella sconfitta; erano così felici sembrava quasi avessero vinto loro! Mi diedero delle pacche sulla schiena e mi stringevano le mani, anche se gli occhialoni di Collins erano stati rotti da un sasso dalla mia macchina”.

Con quel successo, Fangio conquistò il suo quinto titolo mondiale ed assicurò alla Maserati il primo – e purtroppo unico – alloro tra i Costruttori.

Proprio la 250F n. 2529, una volta rientrata in fabbrica dopo la gara, fu esaminata dall'ingegnere Giulio Alfieri; con sua grande sorpresa, scoprì che le sospensioni anteriori erano completamente grippate, con i perni su entrambi i lati bloccati da un'uscita di strada: "Quella era la misura dell'uomo - poteva correre con qualsiasi cosa." Anche se a fine gara Fangio dichiarò “non ho mai guidato così in vita mia e non lo farò mai più”, la sua temerarietà, la sua irruenza, la sua sensibilità gli permisero di conquistare un successo strepitoso lungo le curve dell’Eifel. E con questo successo entrò nella storia della Formula 1 e nella leggenda. E con lui la 250F.
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